Hiroshima e Never: due facce della stessa, tragica, medaglia

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Il 1959 per la cinematografia mondiale e soprattutto francese è un anno fondamentale. Al Festival di Cannes, giunto alla dodicesima edizione, vengono proiettati i lungometraggi di esordio di due giovani e semisconosciuti registi: “I 400 colpi” di François Truffaut e “Hiroshima mon amour” di Alain Resnais. I due novelli cineasti appartengono al gruppo di critici raccolti attorno alla rivista di André Bazin i Cahiers du cinéma dalle cui pagine già da alcuni anni hanno lanciato la propria personale e provocatoria battaglia contro il cinema classico francese, contro i suoi contenuti stantii e prevedibili esposti in modo troppo naturale e ordinato, e contro il rigido sistema di produzione che gli permette di sopravvivere. I giovani critici sono animati da una forte indipendenza di giudizio, possiedono un notevole bagaglio culturale, e hanno un sogno proibito: trasformare il cinema francese. Oltre ai giovani Truffaut e Resnais, vi collaborano Jean-Luc Godard, Claude Chabrol, Eric Rohmer. Il nuovo modo di fare cinema che negli anni svilupperanno, conosciuto come “Nouvelle Vague” (“Nuova ondata”) rappresenta un fenomeno di profondo rinnovamento estetico e generazionale nell’universo cinematografico mondiale e “Hiroshima mon amour” ne diviene solido portavoce delle istanze artistiche, e non a torto insieme al primo capolavoro di Truffaut può esserne considerato un manifesto.

 

La vicenda è ambientata nell’Hiroshima del dopo bombardamento ed è incentrata sulla breve ed intensa storia d’amore tra un’attrice francese lì per girare un film pacifista e un architetto giapponese. In entrambi brucia la ferita di un recente dolore: dolore collettivo quello dell’architetto, a cui la guerra ha spazzato via la città, e dolore privato quello dell’attrice, a cui la guerra ha sottratto il suo unico amore, un soldato tedesco a cui la legava una relazione clandestina nel paese natale di Nevers, il cui tragico epilogo l’ha condotta alla follia. Entrambi cercano ora di vincere il proprio passato: lei con le gioie di una nuova vita coniugale, lui partecipando attivamente alla ricostruzione urbana. Ma è tutto invano. La presenza visibile degli effetti della guerra collettiva, evocata con immagini e filmati d’archivio, unisce i due amanti e riporta alla luce il passato che invade in maniera decisiva i loro intensi momenti d’amore e grazie al sapiente montaggio riaffiora alla mente di lei e alla vista dello spettatore, rievocando i fantasmi di un’eterna guerra personale. Il drammatico amore di Never nasce pertanto dall’amore di Hiroshima, il tedesco mai dimenticato di allora si identifica col giapponese di oggi, parlare con questo è parlare con quello, amarne uno è lo stratagemma per poter riamare l’altro. La libera confusione tra passato e presente, tra realtà e immaginazione, la sovraimpressione di piani spaziali e temporali diversi e lontani, rappresenta una costruzione narrativa fortemente innovativa, e pone le basi per un’evoluzione fondamentale del linguaggio cinematografico in direzione di un dipanarsi artificiale e anti-naturale della vicenda. Il tempo cinematografico classico, realisticamente mimetico e trasparente, viene scomposto in frammenti di ricordi, di abbracci e di lacrime, tanti tasselli che incrociati ricostruiscono l’andamento del tempo soggettivo, ossia il tempo della memoria. E solo in questa dimensione il dramma collettivo e la tragedia del singolo possono dialogare e confrontarsi, abbattendo le mura di spazio e tempo che le dividono, al punto che lei è sicura di “aver visto tutto, tutto” di Hiroshima mentre lui a proposito di Nevers può arrivare a dire che “là mi sembra di aver capito che io ho rischiato di perderti”, sconvolgendo qualunque gerarchia logica e razionale. Ma è un dialogo destinato a non aver alcuna soluzione. I continui rifiuti di fermarsi a Hiroshima scandiscono le ore che separano lei dal volo che la riconsegnerà alla Francia e ad un’altra storia, quella del proprio tormento privato, che mal si è diluito e ancor meno alleviato tra le pene di un’ intera popolazione. Entrambi hanno vissuto una propria Hiroshima, che hanno condiviso nell’illusione di superarla e di non dimenticarla, in una parola interiorizzarla. Ma  hanno scordato che i conti col proprio vissuto si fanno da soli, e che la necessità della memoria spesso si accompagna alla fatalità dell’oblio. Lei è fragile e sincera, “come te ho tentato di lottare con tutte le mie forze contro la smemoratezza […] e poi un giorno non sapremo più nominare ciò che ci unisce”, lui fragile e definitivo “penserò a questa storia come all’orrore dell’oblio”.  Il tempo, prima o poi, mette una lapide su tutto.

 

L’epigrafe? Qui giacciono Nevers, attrice francese, e Hiroshima, architetto giapponese. Si amarono per trentasei ore o per una vita intera, scordarono che 200000 morti in otto secondi purtroppo o per fortuna non sono nulla in confronto alla perdita dell’unica persona amata.

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