Le vite degli altri: breve guida all’universo di Pessoa

13pessoa-di-sironi18

Álvaro de Campos, laureato in ingegneria a Glasgow, residente a Lisbona, intellettuale e poeta vagamente futurista. Alberto Caeiro, il Maestro, poeta schivo e solitario. Ricardo Reis, medico col pallino della poetica oraziana. Bernardo Soares, contabile inquieto. E poi lo scrittore inglese Alexander Search, suo fratello Charles il traduttore, lo sciaradista mai premiato A.A.Crosse, e tanti altri ancora, fino a comprendere una costellazione di autori, ciascuno con propria personalità e biografia, che tra loro dialogano, si frequentano, polemizzano, e che condividono un’unica immensa radice: appartengono tutti, nessuno escluso, al folle e infinito universo pessoano. Già, perché dietro a tutte queste persone, o meglio biografie, c’è l’unico Fernando Pessoa.

Nasce a Lisbona nel 1888, all’età di cinque anni scrive lettere a se stesso, lavora come traduttore presso una ditta di import-export, e per tutti i 47 anni di vita scrive egli stesso e fa scrivere ai suoi eteronimi un numero elevatissimo di opere, di cui ancora non si conosce la quantità esatta. Entrare nel suo universo non è cosa da poco. Farlo in poche righe, un’assurdità.

 

Il modo meno rischioso di avventurarsi, impone di partire da una semplice, anzi semplificata, premessa: per Pessoa, la scrittura è sempre stata per necessità. Si leggano alcuni passi  di quello straordinario Zibaldone di riflessioni e pensieri ad alta voce che è Il Libro dell’inquietudine: «La letteratura, come tutta l’arte, è la dimostrazione che la vita non basta», e ancora «Mi avvicino alla mia scrivania come a un baluardo che mi difende dalla vita». Una vita senza scrittura non era possibile. Ma ciò che fa di Pessoa Pessoa, è il fatto di scrivere non come un unico e univoco autore, ma come tante penne diverse, ciascuna dotata di propria biografia e sensibilità, al punto che talvolta sentiva l’esigenza di inventarsi l’autore prima dell’opera. Nel difficile compito di racchiudere il fenomeno Pessoa entro coordinate accessibili, l’unico aiuto, certamente parziale ma sufficientemente esaustivo, lo troviamo nelle Pagine di estetica, sorta di abbozzo di un “sistema” teorico ed estetico pessoano, scritto dall’autore portoghese nell’intero arco di vita. Nelle pagine, che rivelano il carattere sparso e per nulla organico dell’opera, egli ci informa di alcune verità che permettono non già di comprendere ma quantomeno di giustificare quella costellazione di eteronimi che certamente costituiscono l’aspetto più misterioso ed affascinante del suo esteso corpus.

Tra i molti spunti, uno potrebbe essere l’ideale punto di partenza dentro questo universo: «Ogni uomo non ha nulla da dire, […] una poesia di otto righe». Nessuno pertanto dovrebbe scrivere venti libri diversi, «a meno che non sia in grado di scrivere come venti uomini diversi».  L’unico modo per salvarsi è scrivere, e l’unico modo per scrivere molto è essere tanti autori diversi. Ciò detto, sorprende la capacità di Pessoa di inventare autori fittizi biograficamente impeccabili, che si scrivono lettere e a vicenda redigono prefazioni delle proprie opere, ciascuno con il proprio profilo stilistico e la propria poetica. Dalle poesie di Ricardo Reis che evocano un «rinascimento neoclassico», al tono profeticamente epico e celebrativo della raccolta Mensagem, unico testo pubblicato in vita da Pessoa ortonimo, e poi ancora i toni dimessi e vagamente crepuscolari de Il guardiano di greggi o dello straordinario Tabacaria, fino alle inquiete riflessioni del contabile Soares.

 

Ma la creazione degli eteronimi ci induce ad una riflessione più profonda, più umana, e più che mai novecentesca. È evidente che Fernando Pessoa soffrisse terribilmente la propria condizione borghese di impiegato dalla vita anonima, nella quale governano «la monotonia, l’opaca somiglianza dei medesimi giorni, la mancanza di differenza fra oggi e ieri». Ma tra le molti ribellioni al proprio male di vivere, quella pessoana, fatta di rifiuto della propria personalità a favore di tutto ciò e di tutte le persone che mai era stato e mai avrebbe potuto essere, appare la più estrema. Alla propria incerta e pallida personalità, spersonalizzata dentro lo stagno sociale borghese, Pessoa ha preferito la compagnia certa e concreta di mille fantasmi.

È possibile che abbia dato un senso al secolo più assurdo, o che quantomeno sia arrivato molto vicino all’uscita dal labirinto.

Lascia un commento

Archiviato in Parole

Lascia un commento